Ci dici una cosa che le persone di solito non sanno, di te, ma che ti ha influenzato in quello che sei?
Francesco -“Sinceramente non saprei come rispondere: sono un “libro aperto” quindi raramente ci sono cose che gli altri solitamente non sanno di me 🙂
Fin da piccolo ho sempre fatto praticamente qualsiasi lavoro manuale artigianale (falegname, elettricista, meccanico, muratore, …). Casa mia l’ho restaurata io (con un po’ di aiuti): dalla posa del pavimento, al trasporto e montaggio dei mobili …cucina compresa! Ho una forte propensione al fare le cose più che al discuterne e questo sicuramente si riflette nell’ambito lavorativo. Gabriele Lana, amico e collega da anni, spesso racconta questo aneddoto su di me: «La prima volta che ho conosciuto Francesco, gli ho spiegato come sarebbe stato possibile fare refactoring del loro codice per evitare di doverlo riscrivere, lui sembrava contento e io pensavo di cavarmela così, invece ha preteso di fare un paio d’ore di refactoring su un pezzo di codice che lui riteneva fra i più complessi. Solo dopo un paio d’ore e dopo aver “minacciato” più volte di rilasciare quel codice in produzione, mi ha detto: “Ok, mi hai convinto, il refactoring funziona”» :-)”
Se non fossi finito nel tuo ruolo / industria attuale, cosa ne sarebbe stato di te?
Francesco -“Molto probabilmente avrei fatto l’oste: adoro cucinare per la gente, creare convivialità, far star bene le persone, prendermi cura di loro. Mi piace appagare i palati delle persone con del buon cibo e del buon vino, magari davanti ad un caminetto acceso.
Mi piace creare le situazioni in cui la gente possa naturalmente star bene e dare il meglio di sé e poi osservarne le evoluzioni e le dinamiche che si creano.”
Quale è la tua sfida più grande, e perché è una cosa buona per te?
Francesco -“Da quando ho realizzato come l’intervento di programmatori capaci sia determinate per lo sviluppo di software di livello e di come in Italia questo mentalità sia ancora lontana da quella di altre parti del mondo, mi sono dedicato a far comprendere il valore dei programmatori che, in quanto knowledge worker, non possono essere soggetti alle dinamiche standard della gestione del lavoro.”
Che cosa ti spinge?
Francesco -“Sarò banale ma sicuramente è la passione: la passione per il mio lavoro, la passione per le persone che condividono con me questa fantastica esperienza. La passione per il prodotto e la sua evoluzione. La passione per le architetture complesse e per il buon codice. La passione nel creare qualcosa di nuovo e ben fatto.
La passione nel facilitare l’emergere dell’intelligenza collettiva e nell’osservare come questa porti a delle soluzioni che singolarmente non sarebbero state realizzabili.
La passione nel lavorare PER un team di individui altamente capaci con i quali condividere visione e obiettivi comuni.”
Qual è il tuo risultato più grande?
Francesco -“Posso dirne due?
Il primo è essere riuscito ad ottenere nel mio piccolo la sfida descritta sopra: ovvero essere riuscito a far giustamente valorizzare i bravi programmatori all’interno del mio team.
Il secondo è il fatto di esserci riuscito con i fatti e non con le parole, insieme siamo riusciti a sviluppare un prodotto software con un’architettura che, per complessità, completezza ed eleganza, spesso si trova solo nei libri, ma che a differenza di quelle che ci sono nei libri, produce reale valore. Insieme abbiamo portato a termine una vera e propria metamorfosi, senza mai interrompere il servizio, da un sistema nato 10 anni fa (e quindi con obiettivi diversi da oggi) ad un sistema distribuito che comunica solo tramite protocollo HTTP e che soddisfa i requisiti che sono stati richiesti e modificati negli anni.”
L’ultimo libro che hai letto?
Francesco -“The No Asshole Rule di Robert I. Sutton 😀
Polemiche divertenti a parte, il precedente libro che ho letto è stato Freedom from Command and Control: A Better Way to Make the Work Work di John Seddon. Consigliatissimo.”
Che altra domanda pensi che dovremmo farti, e quale è la risposta?
Francesco -“Domanda:
Quali sono le caratteristiche che fanno di un programmatore un buon programmatore?Risposta:
Premetto che negli anni mi sono convinto che non è da tutti diventare un “buon programmatore”, così come lo penso per moltissime altre professioni.
Diventare un “buon programmatore” sicuramente necessita di un mix di competenze e attitudini dove le une non escludono le altre.
Le conoscenze tecniche sono una condizione necessaria ma non sufficiente; lo studio è parte integrante della vita di un buon programmatore. Ho conosciuto molti programmatori naïf, con ottime attitudini personali ma privi della conoscenza teorica di base che cadevano in errori davvero banali.
Dall’altra parte, la pura conoscenza tecnica da sola non basta. La creatività, la capacità di problem solving, l’umiltà, la capacità di lavorare in armonia con gli altri, l’educazione, la generosità, la sete di conoscenza, la curiosità, la precisione nel fare le cose, a tutti i livelli, il desiderio di fare bene anche “dove non si vede”, la ricerca della qualità, l’onestà, la correttezza deontologica, la capacità di fare “self management”, la professionalità, la costanza sono le attitudini che fanno fare la differenza.
Negli anni ho intervistato moltissimi programmatori ma solo pochissimi racchiudono in sé questo mix esplosivo e i pochi che ci riescono hanno davvero un valore di ordini di grandezza superiore. Detesto la domanda “quanti programmatori junior ci vogliono per fare quel lavoro che sta facendo un senior?”. Il calcolo è impossibile, spesso perché non si otterrebbe lo stesso risultato e altre volte perché la risposta sarebbe +∞. Per me non ha alcun senso parlare di programmatori junior o senior, perché sarebbe come ammettere che dopo anni di lavoro un programmatore (junior) potrebbe diventare un “buon programmatore” (senior) e questa, ahimé, è una grande bugia.”
Chi sono le prossime persone a cui dovremmo fare queste domande? (per cortesia nominane due)
Francesco -“Giordano Scalzo e Marco Faustinelli”